La Corte di Cassazione è ritornata a trattare un tema ricorrente quale è “l’infortunio in itinere”, condividendo l’orientamento restrittivo che si è consolidato negli ultimi anni, e che esclude l’indennizzabilità dell’infortunio quando il lavoratore pone in essere un comportamento che devia, dal normale ed usuale percorso che avrebbe fatto per raggiungere o lasciare il posto di lavoro.
Nel caso specifico è stato trattato il caso di un dipendente delle Poste Italiane che chiedeva al Tribunale di accertare che l’infortunio occorsogli fosse qualificato quale infortunio in itinere con diritto all’indennizzo del 40% per postumi invalidanti e condanna delle Poste Italiane alla corresponsione di una rendita ed al risarcimento del danno biologico, morale e patrimoniale per un importo rilevante.
Il Tribunale accoglieva la domanda con il ristoro dei danni per un importo notevolmente inferiore a quello richiesto dal ricorrente.
I Giudici di secondo grado, però, riformavano la sentenza dichiarando cessata la materia del contendere poichè l’INAIL intanto aveva costituito la rendita in favore del lavoratore, mentre la richiesta del danno nei confronti delle Poste Italiane veniva rigettata, perché era emerso che l’incidente era stato causato da un “comportamento anomalo del lavoratore”. Nel particolare, il dipendente per uscire dall’azienda aveva fatto un percorso alternativo alla via ordinaria, transitando per un’uscita priva di idonei apparati infortunistici.
Nel successivo ricorso proposto dal lavoratore, la Suprema Corte ha respinto il ricorso perché nella dinamica dei fatti, ricostruita analiticamente, era emerso dalle prove testimoniali, dalle perizie e dalle fotografie, che il lavoratore aveva utilizzato un percorso diverso, e che a motivo di questa scelta alternativa, si verificò l’incidente.
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