“Oltre Lampedusa: quali interventi di accoglienza e tutela per i migranti forzati” questo il tema che ha caratterizzato la Sessione Plenaria della mattinata di lavori di giovedì 15 maggio del XIII Congresso nazionale della Società Italiana di Medicina delle Migrazioni in corso di svolgimento ad Agrigento.
Marco Mazzetti della SIMM nella sua introduzione al tema con la relazione “Curare e prendersi cura: a Lampedusa e oltre. Sanità pubblica, accoglienza e tutela dei Migranti Forzati”, ha sottolineato come “La questione non è solo di proteggere vite umane dai naufragi, ma anche di curare ed onorare le persone che con coraggio si avvicinano alle nostre coste, quelle stesse donne, bambini e uomini che spesso sono sprezzantemente definiti “disperati” nelle enfatiche e superficiali cronache dei mezzi di comunicazione, e che al contrario sono persone coraggiose, piene di speranza nel futuro, tenaci e non rassegnate a subire le violenze ed i soprusi di alcune delle peggiori dittature dei tempi contemporanei. Proteggere – ha proseguito Mazzetti – le vite di questi profughi significa onorare la loro qualità umana. La questione della cura e della prevenzione della salute dopo lo sbarco è altrettanto importante:, e per questa non sono ammessi alibi: non è possibile cercare giustificazioni nella imprevedibilità degli eventi, nella mancata assistenza degli altri paesi europei, nella malvagità dei trafficanti di esseri umani. Proteggere la salute di chi è riuscito a sbarcare vivo sulle nostre coste è una responsabilità del tutto italiana».
La situazione italiana relativa all’accoglienza e alla presa in carico di richiedenti e titolari di protezione internazionale in condizioni di vulnerabilità mostra come dato strutturale di essere caratterizzata dall’assenza di un piano nazionale che definisca strategie di azione, ruoli, funzioni e modalità di coordinamento dei vari servizi pubblici coinvolti, ivi comprese le aziende sanitarie; necessità di un monitoraggio scientifico del fenomeno; i diversi progetti finanziati sul tema dell’assistenza a soggetti in condizioni di vulnerabilità si realizzano frequentemente senza una cornice di coordinamento e senza che a livello decisionale sia previsto un momento di verifica e di sintesi degli esiti raggiunti dalle varie sperimentazioni con l’obiettivo di giungere ad una progettazione a regime dei servizi da garantire a questa tipologia di utenza; si evidenzia altresì come gli interventi realizzati a cura delle autorità centrali dello stato sono ancora concepiti come esclusivamente relativi alla, pur predominante, competenza del Ministero dell’Interno, e non sono ancora oggetto di una specifica attenzione anche da parte delle autorità centrali sanitarie, del welfare e del lavoro, non cogliendo in tal modo la rilevanza dell’intera materia sotto il profilo della tutela della salute individuale e collettiva e neppure sotto il profilo della rilevanza della presenza dei rifugiati quali risorse per l’economia e la società italiana; mentre la presenza di situazioni vulnerabili richiederebbe tempestività di riconoscimento, continuità nella presa in carico, multidimensionalità dell’intervento. L’attuale assetto del sistema di accoglienza moltiplica gli elementi di incertezza e l’aleatorietà dei percorsi di presa in carico, mentre lo scarso coordinamento tra differenti strutture e servizi per l’accoglienza crea un forte rischio di dispersione.
Ma come ha sottolineato Gianfranco Schiavone dell’Associazione per gli studi giuridici sull’immigrazione «con la Direttiva 2011/95/UE del 13 dicembre del 2011 (la cd direttiva qualifiche) attuata nell’ordinamento italiano con il D.Lgs 21 febbraio 2014 n.18 (vigente dal 22 marzo 2014) si è introdotta una innovazione di rilevantissimo rilievo che potrebbe condurre al tanto atteso salto di qualità nella tutela socio-sanitaria dei rifugiati vittime di tortura. La norma infatti – ha sottolineato Schiavone – riconferma la piena competenza e centralità del sistema sanitario nazionale ad occuparsi di una tematica da sempre erroneamente percepita come marginale e che viene invece riconosciuta degna di un’attenzione specifica accantonando l’idea di costituire a enti ad hoc per occuparsi dei percorsi di cura delle vittime di tortura. L’emanazione delle linee guida, affidata al Ministero della Salute, dovrebbe permettere di definire le procedure da seguire presso qualsiasi ente del servizio socio-sanitario pubblico o convenzionato finalizzate a garantire celeri percorsi di emersione e di presa in carico dei rifugiati vittime di tortura, uniformando gli standard su tutto il territorio nazionale e inserendo altresì percorsi strutturati di formazione interdisciplinare (oggi mancanti) su questa delicatissima materia per tutti gli operatori della sanità».
Al termine delle relazioni di Mazzetti e Schiavone sono stati riportati dei modelli di buone pratiche seguite nei territori di Modena, Roma, Ancona e Ferrara.