“Chi si meraviglia che queste persone prendano il largo con il mare in tempesta, ora sa il perché. Hanno già visto l’inferno”
“E’ stato un processo importantissimo. Oltre alla condanna di uno degli aguzzini del viaggio che ha portato al naufragio del 3 ottobre, ha svelato l’intricato, organizzatissimo e crudele racket che lucra sulla tratta di esseri umani. Nessuno d’ora in poi potrà più meravigliarsi quando queste persone lasciano le coste libiche salendo a bordo di barconi e affidandosi al mare in tempesta per raggiungere l’Italia. Loro, il vero inferno lo hanno già visto”.
Con queste parole Giusi Nicolini, sindaco delle Pelagie, ha commentato la sentenza della Corte di Assise di Agrigento che, accogliendo le richieste dell’accusa, ha condannato a 30 anni di carcere il cittadino somalo, Mouhamud Elmi Muhidin, 26 anni, per associazione a delinquere finalizzata alla tratta di esseri umani, sequestro di persona a scopo di estorsione, violenza sessuale e favoreggiamento dell’immigrazione clandestina nei confronti di 130 cittadini eritrei, poi coinvolti nel drammatico naufragio del 3 ottobre 2013.
Il processo, come ha sottolineato anche il sostituto procuratore della Dda di Palermo Gerry Ferrara nella sua requisitoria, ha portato alla luce la fitta rete di complicità, a partire dai paesi d’origine in Africa, passando per la Libia e quindi in Italia e nei paesi dell’Europa del nord, che gestisce il traffico dei migranti. Un racket che, dopo tante inchieste giornalistiche, oggi ha anche la sua prima evidenza giudiziaria.
Grazie alla fondamentale testimonianza di 8 superstiti del 3 ottobre e all’uso delle intercettazioni telefoniche, oltre a Muhidin, in un’indagine parallela, sono state arrestate anche altre 5 persone ad Agrigento e 2 a Roma, mentre per i due capi dell’organizzazione, individuati in Libia e in Sudan, sono stati spiccati mandati di cattura internazionali.
Il Comune di Lampedusa era l’unica parte civile costituita al processo, rappresentato dall’avvocato Daniela Ciancimino del foro di Agrigento. La Corte di Assise di Agrigento ha condannato l’imputato all’integrale risarcimento in favore del Comune di Lampedusa, rinviando al Giudice civile per la quantificazione e disponendo la liquidazione di una provvisionale di 20 mila euro oltre le spese legali.
“La scelta di costituirci era doverosa e ci ha permesso di stare nel processo – ha aggiunto Nicolini -. Di appurare e capire ancora meglio quella catena di illegalità, violenza e umana disperazione a cui i migranti sono sottoposti, di cui il viaggio sui barconi è solo l’ultimo anello. Parliamo di aguzzini che sequestrano i migranti a ogni tappa di avvicinamento alle coste libiche, liberandoli solo in cambio del pagamento di un riscatto, violentando sistematicamente le donne, sottoponendo le persone a un calvario che dura mesi, se non anni. E che conta su un’organizzatissima rete di gruppi criminali, con base in molti paesi europei. Le indagini della Dda che hanno portato a questo risultato devono essere utili alle istituzioni italiane ed europee per affrontare finalmente un radicale cambio di strategia in tema di immigrazione”.