Riportiamo la lettera di Don Luca Restivo, arciprete di San Giovanni Gemini, a Gesù Nazareno e ai cittadini sangiovannesi e cammaratesi.
Carissimi cittadini sangiovannesi e cammaratesi, cari emigrati rientrati per la festa, gentili forestieri, fratelli e sorelle tutti per la stessa fede in Dio e devozione di suo Figlio Gesù Nazareno, lontani e ammalati, uniti a noi in diretta attraverso la novità introdotta da quest’anno, in altre parole dei festeggiamenti trasmessi dal sito e dalla pagina ufficiale Facebook del Comitato a cura del progetto ideato da Gerlando Maggio unitamente allo staff e agli animatori dell’Oratorio “Don Michele Martorana”.
A Te caro Gesù Nazareno, anche quest’anno mi accingo a riscriverti un’altra breve lettera e desidero parlarti, ben sapendo che l’ascolterai volentieri e attentamente insieme ai miei fratelli e sorelle che in questo momento mi stanno prestando ascolto.
Quest’anno, nel stilare questa lettera che ti dedico, mi ispiro, osservando il tuo Carro Trionfale, a quei quattro angeli che sorreggono la cupola sormontata dalla tua croce. Non fanno fatica a sorreggerla! Anzi beatamente con una mano sorreggono e con l’altra dolcemente invitano a fare altrettanto, senza timore! Noi al loro posto, sovraccaricati da una molteplicità di fattori personali, sentiremmo enorme fatica, come se essa ci schiacciasse, poiché sono tanti e gravi i problemi con cui dobbiamo confrontarci: la mancanza di lavoro per tanti giovani, la disperazione di tante famiglie che non riescono ad andare avanti, l’assenza di prospettive, le difficoltà di tanti anziani che ricevono pensioni insufficienti… e purtroppo la lista al negativo si allunga e non conterrebbe tutte le problematiche da elencare. Caro Gesù Nazareno, sappiamo bene che la tua croce che svetta lì su in cima al tuo Carro, non è mai pesante da schiacciarci, anzi s’innalza sempre di più da sfiorare il Cielo o, addirittura, da diventare un tutt’uno con esso. In mezzo a tante difficoltà, essa ci sostiene e ci incoraggia a fidarci di Dio e accettare la sfida di guardare vicino e lontano; di guardare tutto con i suoi occhi e di pensare che il terreno dove cresce il Vangelo non è il cortile dove ci si rinchiude o l’orticello che dà sicurezza, non il mio mondo, ma nel mondo siamo chiamati ad annunciare, non un vangelo romanzato per fare addormentare la sera i bambini, ma per svegliare i cuori all’amore e alla speranza e contestualmente all’impegno, un impegno da cui non si può esitare o differire.
Caro Gesù Nazareno, ci stai chiedendo di fare entrare il mondo nel nostro piccolo mondo, tirando fuori tutto il coraggio che serve per osare e per intraprendere percorsi nuovi con una mentalità capace di rinnovarsi di giorno in giorno. Il Giubileo straordinario della misericordia, che quest’anno ci hai donato, è il tempo che ci viene dato per riscoprire la gioia vera e sempre nuova. Gioia che non è solo una vaga sensazione di un benessere personale e passeggero, perché nasce dal Vangelo e diventa speranza per tutti e per sempre; gioia che ha un nome: Gesù, Dio-Amore fatto vicino a ogni uomo. È la tua gioia che libera da ogni forma di tristezza e di solitudine e apre allo stupore della vita nuova! E’ possibilità che ci offri per esercitarci ancora una volta a essere misericordiosi, capaci cioè di recuperare finalmente uno sguardo sincero con cui guardare il mondo e gli uomini e le donne che lo abitano. Stasera tu ci parli chiaramente: cerco un elettricista per ristabilire i contatti tra persone che non parlano più; cerco un ottico per cambiare lo sguardo della gente; cerco un artista per disegnare un sorriso su ogni viso; cerco un muratore per costruire la pace; cerco un matematico per insegnarci di nuovo a contare gli uni su gli altri. Mi piace tanto, caro Gesù Nazareno, l’atteggiamento del cieco Bartimeo con la sua ostinata capacità ad andare controcorrente, nonostante tutto.
Nel Vangelo è scritto: “Molti lo rimproveravano perché tacesse, ma egli gridava ancora più forte” (Mc 10, 48). Cieco sì, ma non immobile. Questa mia città, Gesù Nazareno, ha bisogno dello stesso dinamismo di Bartimeo. Ho l’impressione che noi sangiovannesi e cammaratesi siamo contagiati dall’accidia che non raramente è mista a noia, indifferenza e insofferenza; accidia che si annida prima in noi cittadini che siamo e abitiamo la città, che nelle istituzioni. Facci capire, Signore, che tale atteggiamento rischia di diventare cancrena sino a diventare metastasi, tendenza cioè a tacere ed essere reticenti per paura di doversi mettere in gioco. Ci si aspetta tutto dagli altri, e si pensa di aver fatto il proprio dovere solo perché al bar, sorseggiando un caffè, si è discusso con gli amici delle cose che nella città non funzionano. Senza però chiedersi cosa ognuno sta facendo per migliorarla. Gesù Nazareno, se è vero che il male serpeggia è pur vero che il bene non manca. Penso ai tanti volti uomini e donne di buona volontà che in questa città si spendono per gli altri; essi, con la loro dedizione e le loro opere, come Maria di Betania, profumano i corpi feriti dei poveri Cristo e asciugano le loro lacrime.
Le lacrime mi rimandano all’acqua e a proposito di acqua, Gesù Nazareno, Tu sai bene che l’acqua rischia di diventare un lusso di pochi anche qui, in questa terra. Sono preoccupato per la mia gente che, in questo momento di crisi economica, ha difficoltà ad assicurarsi l’uso di un bene che è di tutti, tanto da restarne priva se non ha la possibilità di pagare quanto dovuto. A proposito di acqua, il nostro mare mediterraneo è divenuto un enorme ecatombe, mostrandoti pesantemente sofferente, come già lo sei nella tua preziosa effige, con quei corpicini di centinai di bambini annegati che pesano sulle nostre coscienze. Chiudo la mia lettera, rivolgendoti, anche a nome della mia gente, il nostro grazie per questi giorni straordinari di grazia e di misericordia e ti chiediamo allo stesso tempo perdono, quando non abbiamo nutrito la tua speranza, non abbiamo nutrito il tuo bisogno d’amore e non abbiamo accolto il tuo desiderio di vita.
Grazie, o Gesù Nazareno.