Com’è ormai noto, le pensioni che saranno erogate nei prossimi anni ai lavoratori dipendenti del settore privato saranno di importo di gran lunga inferiore rispetto all’ultimo salario o stipendio percepito. Alla luce di questa ineluttabile situazione il sistema previdenziale nazionale ha subito, negli anni, radicali riforme che hanno stravolto i principi cardine previgenti.
Fra le più importanti riforme del sistema pensionistico nazionale figura la riforma Amato, datata 1992, sulla cui base sono stati istituiti, nel 1993, i fondi pensione aperti che, negli anni 2000 e 2005, hanno subito importanti modifiche sul trattamento fiscale al fine di consentire l’ampliamento della platea di soggetti aderenti.
Alla luce delle criticità del sistema previdenziale, sia i fondi pensione aperti sia i PIP (Piani Individuali Pensionistici) – sottoposti alla vigilanza dello Stato tramite un’apposita Authority denominata COVIP – diventano validissimi strumenti per garantire un reddito integrativo tale da consentire di non subire effetti traumatici o sconvolgimenti del tenore di vita al termine dell’attività lavorativa e nel periodo di quiescenza.
In questa puntata mi focalizzerò, dunque, sulla struttura dei PIP e sulle loro peculiari caratteristiche finanziarie, previdenziali e fiscali che rendono tali strumenti assai interessanti e vantaggiosi.
Innanzitutto i PIP possono essere sottoscritti dai lavoratori dipendenti del settore privato, anche se soci di cooperative, dai lavoratori autonomi e dai liberi professionisti. Al momento tale possibilità è preclusa ai lavoratori pubblici.
Con la sottoscrizione dei PIP i lavoratori aderenti potranno godere di una serie di vantaggi finanziari e fiscali. Infatti, sottoscrivere un PIP e versarvi il TFR (Trattamento di fine rapporto) significa far gestire a professionisti che hanno competenze ed esperienze idonee a dare valore al capitale investito sfruttando opportunità di tipo finanziario che non sarebbero possibili con i rendimenti di cui alle norme sul TFR che prevedono la rivalutazione annua del 1,5 per cento cui si somma il 75 per cento dell’indice dei prezzi al consumo determinato annualmente dall’ISTAT.
A ciò si aggiungano i vantaggi fiscali derivanti dalla deducibilità dal reddito dei contributi versati ogni anno nei PIP, fino ad un massimo di 5.164,67 euro, oltre alla fiscalità agevolata sia durante la fase di alimentazione/accumulo del piano previdenziale che alla sua scadenza, molto più favorevole rispetto alla tassazione prevista per il TFR lasciato in azienda.
Occorre aver ben chiaro, però, che a fronte dei suindicati vantaggi i sottoscrittori dei PIP dovranno sottostare ad una serie di regole previste dalla normativa vigente. In particolare, la durata del piano previdenziale è legata non all’età anagrafica del lavoratore aderente bensì all’età in cui il soggetto maturerà il diritto alla pensione pubblica.
Alla scadenza del PIP, il lavoratore avrà la facoltà di riscattare fino ad un massimo del cinquanta per cento del capitale accumulato mentre il restante cinquanta per cento sarà corrisposto tramite una rendita vitalizia che, appunto, integrerà l’importo della pensione pubblica.
Durante il periodo di accumulo del PIP, il sottoscrittore potrà in qualsiasi momento ottenere anticipazioni sulla posizione individuale per far fronte a spese sanitarie necessarie per se stesso o per i familiari, fino ad un massimo del settantacinque per cento del capitale accumulato sulla posizione individuale.
Trascorsi almeno otto anni dalla sottoscrizione del PIP, l’aderente potrà richiedere fino al trenta per cento del maturato per esigenze personali e fino al settantacinque per cento per l’acquisto o la ristrutturazione della prima abitazione per sè o per i figli.
La gestione del PIP può essere trasferita ad altra posizione trascorsi almeno due anni dall’adesione ed in alcune situazioni soggettive (cambio lavoro, disoccupazione).
Il riscatto della posizione individuale può, a determinate condizioni, essere parziale o totale e può essere richiesto parzialmente, fino al 50 per cento della posizione maturata, nel caso in cui il periodo di disoccupazione conseguente alla cessazione dell’attività lavorativa sia compreso tra 12 e 48 mesi o in caso di ricorso da parte del datore di lavoro a procedure di mobilità, cassa integrazione guadagni ordinaria o straordinaria.
Il riscatto potrà essere totale qualora il periodo di disoccupazione conseguente alla cessazione dell’attività lavorativa sia superiore a 48 mesi o nel caso di invalidità permanente che comporti la riduzione della capacità di lavoro a meno di un terzo.
In caso di decesso dell’aderente prima del pensionamento, la posizione maturata sarà versata agli eredi o alle altre persone indicate dal titolare del PIP.
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