A marzo partiranno i quattro cantieri sull’area del tempio di Giove Olimpio, nel cuore della Valle dei Templi. Si tratta di uno degli interventi più importanti degli ultimi anni per il Parco archeologico di Agrigento: sarà possibile rileggere correttamente l’intera area sacra del santuario, il percorso che conduceva all’imponente altare di Giove e verranno musealizzati numerosi reperti della decorazione architettonica. L’intervento più scenografico sarà di certo quello del riassemblaggio della trabeazione (architrave, fregio e cornice) sorretta dai telamoni – 38 in origine – e la musealizzazione delle parti dell’enorme statua che verrà sostenuta in piedi tramite una sottile lastra in acciaio corten con mensole di pochi millimetri: un vero supporto antisismico, di ultimissima generazione. L’intervento inoltre garantirà una migliore conservazione degli elementi originali del telamone che sembrerà “sorgere” romanticamente tra le rovine dell’Olympieion.
“In questo momento i beni culturali della Sicilia sono in fermento. I Parchi archeologici e i musei, costretti a chiudere le porte dalle misure anti-Covid, stanno operando con massimo impegno per prepararsi alla riapertura con ambienti più accoglienti e nuovi progetti ed emozioni – interviene l’assessore regionale ai Beni Culturali e all’identità siciliana, Alberto Samonà -. I cantieri che interessano l’area del tempio di Giove Olimpio nella Valle dei Templi e la valorizzazione del Telamone, sono un invito a visitare Agrigento e la Sicilia, per trasmettere al mondo una storia e un’identità profonda, che rendono unica la nostra terra”.
Non si tratta, ovviamente, della copia “distesa” tra i resti del Tempio di Giove Olimpio, ma delle parti di un altro telamone originale, ritrovate e ricomposte su rilievo di Heinz-Jurgen Beste dell’Istituto Archeologico di Roma che a sua volta ha lavorato sui disegni di Pirro Marconi, l’archeologo che scavò alla Valle dei Templi di Agrigento negli anni Venti. Si mette la parola fine, dunque, sulle polemiche scatenate dalla notizia (del tutto scorretta) che il Parco archeologico stesse sollevando “in piedi” il telamone-copia e non un originale. Lo studio dei resti architettonici ha raccontato il sito molto meglio che in passato: tra i molti reperti catalogati ex novo, sono stati localizzati più di 90 frammenti che, per dimensioni e forma, appartengono chiaramente alle sculture del tempio, tra cui blocchi provenienti da almeno otto diversi telamoni. Ma la notizia che sta attirando l’interesse degli archeologi di tutto il mondo non è tanto quella che riguarda la scenografica e mastodontica statua – l’Atlante con le braccia piegate a sostegno della trabeazione del tempio -, quanto piuttosto l’intero progetto che investe l’area del tempio di Giove Olimpio. Che doveva essere meraviglioso, citato dagli storici tra i più grandi d’Occidente, più imponente del Partenone. L’Olympieion fu eretto nell’antica Akràgas dopo la vittoria di Terone sui Cartaginesi, nella battaglia di Himera del 480 a.C.: un vero e proprio ex voto, simbolo visivo della potenza del tiranno. Il grande tempio dorico – oltre 56 metri di ampiezza per oltre 113 di lunghezza per 6340 mq, misure superiori a quelle del Tempio G di Selinunte – in blocchi di calcarenite, fu una novità per il tempo, per le diverse soluzioni architettoniche impiegate, con semicolonne scanalate (14 sui lati lunghi e 7 sui lati brevi) alte quasi venti metri, in ogni scanalatura poteva stare comodamente un uomo. Secondo Diodoro Siculo, il timpano era decorato con scene della Gigantomachia e della guerra di Troia; è sempre lo storico a tramandare la notizia che il tempio fosse rimasto incompiuto, senza copertura. I telamoni (alti quasi 8 metri) dovevano trovarsi a circa 11 metri di altezza rispetto al pavimento, appoggiati su mensole e con il busto ancorato alla muratura. Gli storici non sono ancora concordi sul loro numero, in molti pensano che i telamoni dovessero abbellire la sola facciata del tempio e non correre sull’intera lunghezza.
Oggi si cerca di ridisegnare la mappa dell’Olympieion, crollato dopo un terremoto nel 1401, e del tutto sconquassato nel XVIII secolo quando gran parte dei suoi blocchi di calcare furono utilizzati per costruire il molo di Porto Empedocle. Lo stesso Goethe descrisse i resti del santuario come “ossami d’un gigantesco scheletro”. Il telamone attualmente disteso all’interno della cella del tempio, è infatti una copia fedele della prima statua ricostruita su disegno di Charles R. Cockrell da Raffaello Politi agli inizi dell’800, che è oggi conservato al Museo archeologico. L’archeologo Pirro Marconi alla fine degli anni Venti aveva individuato i resti di sette telamoni; la campagna di studi e rilievi del Parco Archeologico, che procede dal 2005 – per i primi tre anni in collaborazione con l’Istituto Germanico di Roma, sotto la guida di Heinz-Jurgen Beste – oggi rileva almeno otto statue.
In attesa dell’apertura dei quattro cantieri, è stata completata la mappatura esatta del tempio (anche tramite drone che restituisce una visione completa dell’area) e dei suoi più importanti elementi architettonici. L’obiettivo era quello di una ricostruzione attendibile della struttura, ma anche la sua protezione: è un esempio unico che non si ritrova in nessun’altra architettura del Mediterraneo. Sono stati anche identificati e disegnati altri frammenti del rilievo scultoreo del timpano, oltre a quelli già pubblicati da Domenico Lo Faso, duca di Serradifalco.
“L’area merita di essere recuperata e valorizzata – spiega il direttore del Parco archeologico della Valle dei Templi, Roberto Sciarratta –, il pubblico presto la potrà visitare nella sua interezza: saranno chiusi gli accessi secondari e si potrà seguire un unico percorso di visita che dall’Olympieion condurrà ai resti dell’altare, liberato dai massi crollati durante gli scavi negli anni Venti, così da far riguadagnare la percezione del collegamento tra altare e tempio. I visitatori non si fermeranno alla Concordia ma saranno invogliati alla scoperta di tutta la collina dei Templi, fino al bacino della Kolymbetra”.
Il telamone, posto su un basamento, sarà ricostruito nella zona a nord est del tempio, su un piano circa 6 metri più in basso del livello di camminamento: un bel colpo d’occhio che, comunque, non pregiudicherà l’intera visione dell’area, né di altri reperti particolarmente importanti; come la ricostruzione della cornice del tempio, che permetterà di rendersi conto in maniera concreta delle dimensioni del santuario.
L’intervento prevede nove mesi di lavori e dovrebbe essere completato entro l’anno. Sarà a cantiere aperto: i visitatori, appena la Valle dei Templi riaprirà al pubblico, potranno prenotarsi e accedere all’area seguendo dal vivo il lavoro degli archeologi. Il progetto è di Coopculture: saranno possibili tour guidati da esperti per vivere un’esperienza fantastica. E non solo per gli appassionati, ma anche per le scuole, per laureandi e stagisti, per chiunque voglia scoprire come ci si muove a stretto contatto con la Storia.