Quarto appuntamento per la stagione del teatro “Pirandello” di Agrigento in questo fine settimana.
Questa volta è di scena “Il bell’Antonio” di Vitaliano Brancati nell’adattamento teatrale di Antonia Brancati e Simona Celi, con protagonisti Andrea Giordana e Giancarlo Zanetti e con Michele De Marchi, Elena Calligari, Simona Celi, Natale Russo, Giorgio Visano, Alessandro Romano e, nel ruolo di Antonio, Luchino Giordana, per la regia di Giancarlo Sepe.
Sessant’anni fa moriva a quaranta sette anni il grande scrittore Vitaliano Brancati. Nel mondo, il secondo romanzo italiano più letto e amato, dopo “Il Gattopardo”, risulta essere il suo “Il bell’Antonio”, un lucido e meraviglioso affresco dell’Italia fatto attraverso un meccanismo concentrico che dalla storia di un Paese in grande difficoltà durante il periodo fascista fotografa una microstoria in Sicilia di una famiglia e del suo bell’Antonio.
L’adattamento teatrale mostra la vera costruzione del romanzo: la critica alla società, alla storia, agli uomini, alla chiesa, alle convenzioni. Antonio non è il personaggio centrale di un’opera letteraria ma è, a volte, un pretesto per un saggio critico di natura storica e sociale.
La regia spoglia il testo da facili allestimenti borghesi e ne fissa il profilo in un non luogo. La storia è già finita. I personaggi forse non sono più vivi, ma vengono proposti dal vivido ricordo dello zio Emenegildo, che nel romanzo assomiglia moltissimo a Vitaliano Brancati.
Antonio però innesca un meccanismo circolare in cui ognuno, nel girone personale, ha la propria ragion di stato per agire. Anche per un padre sarà più facile salvaguardare l’immagine stupida della virilità di famiglia che capire le ragioni di un figlio. Antonio è bellissimo e privo di qualunque talento, viene visto come una sorta di divinità; le donne svengono al suo passaggio. Il padre decanta la virilità di questo figlio unico, la gente pensa che lui sia vicino a Mussolini ed influente. Catania non parla altro che delle sue doti. Un fascismo locale macchiettistico ed inadeguato. Uno zio filosofo. Un matrimonio non consumato porterà due famiglie di Catania al centro di una tragedia al contrario, in cui l’eroe lo è nonostante sé stesso e il motivo della tragedia in sé non esiste se non in un’incomprensibile difficoltà di Antonio ad amare.
Lo spettacolo riporta in teatro una grande coppia, Andrea Giordana e Giancarlo Zanetti, due meravigliosi attori, insieme per anni protagonisti di grandissimi allestimenti. Ritornano per dar vita a questa messa in scena raffinata e coinvolgente. Il figlio di Andrea Giordana, nel ruolo di Antonio, affiancherà il padre, all’interno di un progetto che dalla vita reale porta, un padre ed un figlio, ad interpretare altri due personaggi letterari, un padre e un figlio, in palcoscenico.
Gli spettacoli andranno in scena sabato con inizio alle ore 20 e domenica dalle ore 17. Per l’acquisto dei biglietti ci si può rivolgere al botteghino del teatro.
Note di regia
La bella trasposizione di Antonia Brancati e Simona Celi dal romanzo del grande scrittore siciliano mi ha illustrato pienamente la psicologia di un mondo che, caricaturalmente, ho conosciuto nei film di Pietro Germi, anzi pensavo che proprio da lì dovessi cominciare… invece approfondire le caratterialità dei personaggi mi ha portato a vederli con lo sguardo dell’antropologo, dello studioso di tradizioni e pensieri, di sfondi e di parole che hanno del sorprendente: la Sicilia non è una regione, è un mondo, un gioco fatto di orgoglio e passioni viscerali, di rispetto e dispetto, di amore per la carne e per l’anima che spesso ne è soggetta, pur non ammettendolo mai.
Uno dei personaggi della commedia dice ad un certo punto pressappoco così: “in tutta la via Etnea, che è lunga tre chilometri, forse solo io ho la testa sulle spalle…”. Parla una donna che non riesce a farsi amare da Antonio Magnano, anche se è vicina di casa…
Questa contingenza la fa impazzire: prima si amano le cose che ci sono vicine e poi si pensa a quelle lontane, per esempio il continente. Prenditi le cose di cui conosci tutto, suggerisce, evita di avventurarti con ragazze di un altro palazzo o addirittura di un altro paese…
La Sicilia è una terra meravigliosa di cui si va orgogliosi e di cui a volte si è vittime designate in quanto terra rapinosa e insostituibile, rancorosa e rigogliosa, dove la morale spesso è sostituita dalla fede che tutto sistema e perdona.
Nello spettacolo si celebra la morte della virilità, e questo per la Sicilia è la morte della presenza fisica e intellettuale dell’uomo. Siamo nel 1934, in pieno fascismo, e l’uomo in sé rappresenta il simbolo della rivoluzione culturale che proprio sull’intraprendenza e insostituibilità del maschio poggia i suoi cardini.
Spettacolo divertente e “luttuoso”, quasi un funerale ridicolo ai valori materiali della vita, all’idea che il sentimento non potrà mai surrogare l’azione fisica dell’atto sessuale. Figli, si vogliono figli, maschi, le femmine si adattano a combinarsi in matrimoni di interesse, le femmine brutte amano gli uomini belli e se l’impalmano riescono a riscattare una vita intera.
Il linguaggio dell’autore è bello, sincero, ironico e tagliente, nulla tralascia, gli stati d’animo sono aggettivi che giocano con l’umano e l’esistenza, e questa esistenza di esseri spesso ignoranti e ottusi s’incontrano per lo”struscio” proprio per la via Etnea, addolcendo sulle prime gli sguardi per mostrare amicizia, poi mano a mano, quando la stanchezza della lunga passeggiata si fa sentire e cala la soglia di attenzione, tutti diventano ostili, critici, nevrastenici, coi piedi gonfi, e il caldo che ti appiccica addosso il vestito.
Il Bell’Antonio è la sincerità di un rimpianto, quello di non conoscere il piacere dell’atto sessuale, ma anche il disinteresse per tutto quello che non è un atto sessuale. Meglio accoppiarsi con chiunque voglia farlo, che conoscere il significato di tutto quello che ci circonda.”
Giancarlo Sepe