Se i clienti del pub sono particolarmente rumorosi, ed il gestore del locale non vuole avere guai giudiziari, ha il dovere di adottare “i vari mezzi offerti dall’ordinamento per evitare che la frequentazione del locale da parte degli utenti sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica”.
Tra le misure estreme è compresa anche la cacciata dal locale del cliente particolarmente chiassoso.
Lo ha stabilito la Cassazione, intervenendo su un caso legato alla movida torinese, ricordando che un gestore può arrivare a inibire, con la cacciata, il locale a un cliente particolarmente “facinoroso”.
La cacciata del cliente, ha osservato la Suprema Corte, rientra nella “attuazione dello “ius excludendì”.
Se, invece, ha spiegato ancora la Cassazione, “il disturbo del riposo e delle occupazioni da parte degli avventori dell’esercizio pubblico avvenga all’esterno del locale, per potere configurare la responsabilità del gestore è necessario provare che egli non abbia esercitato il potere di controllo e che tale omissione sia riconducibile alla verificazione dell’evento”. Applicando questi principi, la Cassazione ha confermato la responsabilità penale del gestore di un
pub torinese colpevole di non avere impedito sia gli schiamazzi interni al locale sia quelli all’esterno. Inutile il ricorso della titolare contro la decisione del Tribunale di Torino del 7 marzo 2013 volto a dimostrare che la protesta di tre abitanti era “priva di riscontri della diffusività dei rumori” e che in ogni caso il gestore aveva fatto quanto poteva “per calmare i gruppi più ‘facinorosì”. La Suprema Corte ha bocciato il ricorso del gestore del pub e ha evidenziato che non era stato fatto nulla “per impedire in concreto gli schiamazzi” oggetto di disturbo per gli abitanti della zona.
Tra l’altro la Cassazione ha fatto notare che “il Tribunale ha ritenuto che i rumori che, lo si ripete, non consistevano solo negli schiamazzi dei clienti all’esterno del locale, ma anche nei rumori prodotti all’interno e nella musica ad alto volume, fossero riconducibili alla condotta dell’imputata e non ha attribuito rilievo ai tentativi, evidentemente ritenuti insufficienti, di calmare la clientela più rumorosa”. Accertata, dunque, “la responsabilità penale dell’imputata per i rumori provenienti dal suo locale, e, dall’altro, il concreto disturbo arrecato alle parti civili” alle quali sono state liquidate anche 2.500 euro per le spese processuali.
La Terza sezione penale, con la sentenza 12967, ha stilato un vero e proprio vademecum per i gestori di locali pubblici alle prese con clienti rumorosi. Risponde, dunque, del reato punito dall’art. 659 c. p. “il gestore di un locale pubblico che ometta di ricorrere ai vari mezzi offerti dall’ordinamento (come l’attuazione dello “ius excludendì” o il ricorso all’autorità) per evitare che la frequentazione del locale da parte degli utenti sfoci in condotte contrastanti con le norme poste a tutela dell’ordine e della tranquillità pubblica”.