Di seguito il testo dell’omelia pronunciata dall’arcivescovo card. Francesco Montenegro in occasione della solennità della Immacolata Concezione.
Oggi rendiamo onore a Maria, la Vergine Immacolata, la “tutta bella”, la graziosissima, la Benedetta tra tutte le creature, alla quale Dio Padre, autore di ogni bellezza, ha affidato il Figlio Suo. Lei è l’opera d’arte di Dio meglio riuscita. È una bellezza la Sua che, però, che non possiamo valutare secondo i nostri canoni dell’estetica, ma per quella perfezione e armonia che si manifestano nel Suo comportamento e nelle sue virtù. È donna libera, attiva, di iniziativa, obbediente, amante e amabile, attenta, silenziosa, fedele, modesta, dolce. Quello che ha dentro traspare all’esterno.
Contemplando tale capolavoro della fantasia di Dio, la Chiesa si riconosce e si riflette in Lei, come in uno specchio, e così non solo scopre ciò che dovrebbe essere, ma si sente invitata ad andare con passo più veloce verso Gesù.
Tra Maria e la Chiesa c’è un rapporto così intimo da essere un solo e unico mistero. La maternità della Chiesa, per esempio, è la continuazione di quella di Maria, tanto da poter essere considerata un suo prolungamento nella storia. La Chiesa per sapere come deve essere basta che guardi Maria. Parlare della bellezza di Maria allora è parlare della bellezza della Chiesa. Bellezza che si manifesta quando tra noi credenti – mi riferisco sia ai singoli che alle parrocchie – le relazioni superano la forma egoistica di vivere la fede, e fanno diventare la Chiesa una grande famiglia in cui ci riconosciamo fratelli e viviamo rapporti regolati dalla gratuità, dalla misericordia, dalla condivisione e dal perdono. Famiglia in cui l’amicizia si trasforma in fraternità e in capacità di riconciliazione e i programmi pastorali sono espressionedella fedeltà a Dio che agisce nella storia.
È la bellezza che traspare quando si vive la fede col cuore libero e non intimorito da un Dio congelato e col dito puntato; con una fede frizzante e non regolata da noiosi e trascinati ritmi, anche se devoti, che il più delle volte ingabbiano e irrigidiscono; in cui si sta insieme regalandosi simpatia e non condividendo la pesantezza triste di una fede che sembra che guardi il cielo, ma in realtà lo sente lontano e non sa scoprirlo accanto a sé e dentro il cuore; una fede che non ci rende solo esperti in demoni e inferno ma ci rende gioiosi uomini del Risorto e che ci fa agire come se Dio esista, perché ammettiamolo, qualche volta sembra che, anche se ci definiamo credenti, agiamo come se Lui non esistesse; una fede capace di accoglienza, condivisione e solidarietà, soprattutto coi poveri, avendo come regola il Vangelo e non opportunismi e giochi politici. La Chiesa è «Gesù presente ora», è il volto bello del Dio-amore. Per questo non può essere impegnata solo nell’offrire prestazioni sacre, chiusa nel tempio, quasi fosse un super mercato dello spirito, in quanto sa che se si presenterebbe così agli occhi del mondo, oltre a mostrarsi invecchiata, offrirebbe un Vangelo appannato, tradendo le intenzioni del suo fondatore. Chiesa che sa che il segreto della sua bellezza lo trova nella Parola di Dio e nell’Eucaristia.
Sono cosciente che vi sto proponendo pensieri che vi ho esposto già negli anni passati e in occasioni diverse, (sono andato a riguardare le omelie degli anni passati), ma sento forte la necessità di ripeterli, perché rischiamo di camminare col freno a mano alzato, mentre si schiaccia l’acceleratore. E questo in un momento in cui il territorio agrigentino ha bisogno di energia e vitalità. È il mio sogno che vi ho presentato già dal giorno del mio arrivo ad Agrigento e che non posso non riproporvi.
Ho letto queste parole: “Tenetevi saldi ai vostri sogni, perché se i sogni muoiono, la vita è come un uccello dalle ali spezzate, che non può più volare”. E io non mi stanco e non intendo stancarmi di sognare. Come desidero trovare complici disposti a sognare e osare.
Sogno la nostra Chiesa agrigentina che non sta alla finestra, e non prende le distanze da ciò che succede per strada. Ma che cammina bella lungo le strade gridando la profezia e scandalizzando coi suoi gesti d’amore. Che oltre a essere esperta delle cose di Dio, lo è altrettanto delle cose dell’ uomo. Una chiesa bella che comprende la solitudine e la sofferenza dell’escluso di oggi – il lebbroso di allora – e lo guarisce, come fece Gesù, non standosene a debita distanza ma toccandolo; che piange, senza vergogna, assieme alla mamma che accompagna il figlio defunto o che partecipa alla gioia dei due sposini di Cana e non vuole che la festa finisca male. Chiesa bella che evangelizza, ma sa che evangelizzare significa rendere concreto ciò che si annuncia. Chiesa bella, la nostra, che è preoccupata di custodire la verità, ma è anche impegnata a rivelare l’amore.
Sogno la nostra Chiesa bella e pronta a offrire a tutti un Dio vivo, imprevedibile e giovane e Lo sente presente, accanto e che parla, un Dio che ama, ride, piange, che ha un pallino: i poveri, gli ultimi, i nessuno. Chiesa bella che stando per strada non porta solo i manuali della preghiera ma ha sempre con sé l’olio e il vino, che ha per bussola il Vangelo ed è attenta a non ritrovarsi, come il sacerdote e il levita, “dall’altra parte” della strada, cioè dalla parte sbagliata. Che sa scoprire il bene, anche poco, in ogni uomo (come Gesù lo vide nel ladrone), anche se è uno scarto della società.
Chiesa bella perchè, rifiuta di diventare pascolo di egoismi colorati di bontà, e preferisce percorrere sia la strada che da Gerusalemme va a Gerico (dell’uomo abbandonato per terra), sia quella di Emmaus (dei viandanti senza speranza), che esce dal tempio (dove si può anche pregare col cuore spento e senza speranza come Zaccaria), si ferma al pozzo (i luoghi degli uomini) della Samaritana), entra nella casa di Zaccheo, e si avvicina ai bordi della piscina di Betzata.
Sogno una chiesa bella che sente la voce del Signore che la invita alla conversione e la sprona ad osare cose nuove e a farsi “comprensiva, amante dei fratelli, maternamente tenera, umile” (cfr 1 Pt 3,8).
Chiesa bella che sa di stare in un territorio, come quello agrigentino, senza starsene ai margini e senza rassegnarsi – io non mi voglio rassegnare – al fatto che questa terra debba sempre trovarsi nelle ultime posizioni delle classifiche nazionali. Come se Agrigento non fosse culla di intelligenze di arte, di bellezza e di storia, di gente capace di costruire un futuro migliore. Chiesa bella e orgogliosa di condividere questa storia, anzi di sentirsene parte attiva, e di sentirsi impegnata e responsabile della storia di questa città e di questo territorio. E questo non è solo il desiderio o il sogno di me Vescovo di questa Chiesa, ma è un dovere che tutti – Vescovo, sacerdoti e laici – dobbiamo sentire primario se vogliamo essere credibili come credenti. Chiesa bella perciò perchè rifiuta l’idea di tanti che la fede non deve sporcarsi con le vicende della storia. Perché sa che se lo dovesse fare resterebbe bloccata in uno spiritualismo e in un ritualismo disincarnati, anche se apparentemente splendidi, divenendo propositrice di una religione vuota (Is 1,10-16; Am 5,21-28).
E la fede resterebbe solo un’etichetta anonima e insignificante.
La bellezza della nostra Chiesa può, sa e deveriflettere i colori dell’amore.
Finisco con un augurio. Siano in tutti noi l’anima e il cuore di Maria. PrendendoLa come modello, la nostra Chiesa agrigentina sappia essere bella sempre, sia sempre diretta, con passo veloce, là dove il Signore la manda ad annunciare la buona notizia e a colorare il mondo, e questa terra in particolare, di speranza.