Prima domenica di festeggiamenti in onore di San Calogero, ad Agrigento.
Alle 9,00 del mattino, nel santuario consacrato al Santo Nero, don Franco Montenegro, Cardinale di Agrigento, ha celebrato la santa messa.
Ecco il testo dell’omelia:
“In questo giorno di festa per la nostra città, abbiamo ascoltato(il riferimento è alle letture della Messa n.d.r.) che “Dio ha creato tutto per la vita”, cioè che siamo creati per il bene, la verità, la bellezza,
la giustizia, la solidarietà, l’amore. Prendiamolo come augurio da parte di Dio ma anche come suo desiderio di sentire nemica la cultura di morte oggi così diffusa.
Cosa vuol dire cultura della morte? Se pensiamo in grande – al mondo – vuol dire un’economia che sacrifica i più deboli, il benessere che scarta chi è considerato un peso sociale, i consumi che avvelenano tutto: mari, aria,
cibi, e soprattutto il cuore dell’uomo. Credere nel Dio della vita significa rifiutare queste complicità.
S. Calogero, uomo di Dio e misericordioso verso gli ultimi della società, ci fa ricordare le parole di Gesù: “Ecco un Israelita in cui non c’è falsità”. Noi pensiamo che basta pregare e andare in Chiesa per essere buoni cristiani. Infatti, oggi, festa per la nostra città siamo qui presenti. E questo è bello. Ma essere credenti significa impegnarsi per una società e città più giusta, scegliere la trasparenza, la legalità, l’onestà, l’attenzione per i poveri e gli immigrati, offrire rispetto e amicizia a chi è disprezzato ed emarginato. Dio non accetta che ci diciamo suoi amici ma non amici dei suoi amici (i poveri). Non considerarli è voltare le spalle a Lui. Ciò avviene forse perché abbiamo trasferito nella religione, ciò che viviamo nella vita di ogni giorno: il formalismo, l’esteriorità, l’apparenza. Non possiamo tenere a pareggio i conti con Dio solo perché rispettiamo le norme religiose, Lui ha detto: “Questo popolo mi onora con le labbra, ma il suo cuore è lontano da Me”.
Viviamo in una società che ci sta mettendo l’uno contro l’altro come concorrenti diffidenti e ci fa sentire stranieri l’uno all’altro; società segnata da un individualismo (ognuno per sé) pericoloso in cui contano il potere, il denaro e il piacere; una società che pur definendosi “cristiana” non sempre reagisce dinanzi alla diffusione della cultura della morte! Un esempio? Pensiamo al modo di fare politica oggi e a quanto sta avvenendo riguardo ai migranti. Ci diciamo credenti, eppure sbattiamo con disprezzo la porta in faccia a chi non ci piace, non pensando che la sbattiamo in faccia a Lui, nonostante all’altare mangiamo il suo pane e lo chiamiamo padre. È una civiltà, ma purtroppo anche una religione (ma si può chiamare religione, se è così?) che disconosce i diritti degli uomini, che fabbrica i poveri, e poi non li vuole perché danno fastidio, e li lascia morire. Convinciamoci, Gesù non è solo dalla nostra parte, anzi certamente è uno di loro. Egli ci dice che credere significa assomigliare al Padre nel praticare l’amore. La fede richiede sempre coraggio. I migranti, i poveri sono un termometro per la nostra fede. Non accoglierli, soprattutto chiudendo loro il cuore, è non credere in Dio. E’ Gesù a venire da noi su un barcone, è lui nell’uomo o nel bambino che muore annegato, è Gesù che rovista nei cassonetti per trovare un po’ di cibo. Sì, è lo stesso Gesù che è presente nell’Eucaristia.
Un migrante alla fine del suo lungo viaggio, dopo aver subito violenze e visto sabbia, lacrime, paura, cadaveri … esclamò nel mattino in cui fu salvato: “Nulla è più bello al mondo del sorgere del sole”. Il sole illumina i volti di tutti gli uomini, non solo i nostri. Ogni migrante è una storia e una vita che, ci piaccia o no, s’intreccia con le nostra. I poveri e i migranti hanno un nome come noi, sognano come noi, sono pieni di paure come noi, sperano come noi, vogliono una famiglia come noi, – un minorenne mi ha detto che ciò che gli manca è la carezza della mamma – credono in qualcosa o in qualcuno come noi, osano come o più di noi, desiderano essere trattati come noi. Anche per loro, e non solo per noi, Gesù e si è lasciato inchiodare sulla croce. Lasciamoci scuotere la coscienza dal fatto che tanti bambini, uomini, donne, perdano la vita in mare. Fu un immigrato, il centurione romano, a riconoscere nel crocifisso il Figlio di Dio. Un detto ebraico dice: chi salva un solo uomo, salva il mondo intero.
Papa Francesco dice: “Dobbiamo carezzare le piaghe di Gesù, dobbiamo curare le piaghe di Gesù con tenerezza, dobbiamo baciare le piaghe di Gesù, e questo letteralmente. Pensiamo, cosa è successo a San Francesco, quando ha abbracciato il lebbroso? Lo stesso che a Tommaso: la sua vita è cambiata!”.
La parola di Dio ci mette in guardia dall’essere ipocriti. Gli ipocriti al tempo di Gesù erano coloro che si mettevano la maschera per recitare. Corriamo il pericolo di essere ipocriti quando stacchiamo la preghiera dalla vita; quando mettiamo la maschera dei buoni e poi, quando accadono le tragedie, sempre più frequenti, ci giriamo dall’altra parte, come se la cosa non ci interessasse, semmai recitiamo qualche preghiera per acquietare la nostra coscienza; quando a ciò che diciamo con le parole (quante volte abbiamo detto di loro: poveretti) non facciamo corrispondere le azioni; quando preghiamo per il mondo e ci dimentichiamo che a Dio interessa l’uomo vivente; quando anziché essere benevoli verso chi sofferenze, diamo giudizi sommari, dimenticando che quella povera gente ha un unico desiderio: poter vivere. Ma non è lo stesso desiderio dei nostri familiari che sono partiti e partono emigranti in altre terre? Se li dovessero trattare alla stessa maniera, cosa penseremmo e diremmo …
Nel Vangelo c’è una frase molto forte: “…a questa generazione sarà chiesto conto del sangue di tutti i profeti”. Non possiamo fare come Caino che si scusò dinanzi a Dio dicendo di non esserne il custode. Non sono solo il coltello o la pistola a uccidere, ma anche l’ipocrisia, il buonismo, il silenzio e l’indifferenza. È vero che non possiamo risolvere noi problemi complessi come quelli dell’immigrazione e della povertà ma come cristiani abbiamo il dovere della compassione, uno dei nomi più belli della carità. La stessa compassione di s. Calogero che curò gli appestati di allora. C’è un salmo che raccoglie tutti i gridi di disperazione degli uomini: «Dal profondo a te grido, o Signore, Signore ascolta la mia voce»; è un grido che non è mai cessato. Se il Signore lo ascolta noi, che siamo la sua chiesa, non possiamo restare sordi al grido di dolore di tanti suoi figli. Il cristiano che crede dà una mano a Dio, Lo rende presente là dove tutto è più buio. Se Lo preghiamo: “Signore ferma le guerre!”, Lui ci risponde: “Diventa tu costruttore di pace”; se gli chiediamo: “Aiuta quel povero, quell’immigrato” risponde: “diventa tu la mia consolazione per lui”. Paolo VI diceva: “Cristiano, sii cosciente; cristiano, sii coerente; cristiano, sii fedele; cristiano, sii forte; in una parola: cristiano, sii cristiano”.
Al Signore chiediamo che ci converta il cuore per poter rispondere nella maniera più giusta alle tragedie di questo nostro tempo. Sorretti da Lui, fissando S. Calogero, l’uomo venuto da lontano e dalla pelle nera (la sua pelle scura non ci dà fastidio come quella che sale sui barconi, chi sa perché?), restiamo fedeli alla Parola di Dio e del Papa e cerchiamo di leggere la storia, questa triste storia di oggi, con gli occhi di Dio. Ci accorgeremo che è Dio a venire verso di noi e passare tra noi, e ci chiede di essere accolto. Non vi pare che è tempo ormai, dopo 2000 anni di cristianesimo, che Giuseppe e Maria trovino un posto dove far nascere Gesù e una culla dove poggiarlo, e non buttarlo in fondo al mare perché morto di freddo? Se ancora accade non siamo diversi da quanti allora rifiutarono un letto a una donna che doveva partorire! Ma quanti Gesù devono nascere ancora e morire annegati nel mare?
S. Calogero prega per noi!”